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* penelope e la sua storia*
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*penelope e il mare*
 
In questo
inferno…

riuscivamo persino
ad innamorarci…
Qui si intrecciavano…
amori…
invidie…
amicizie…
cattiverie…
Tutto questo
senza accorgerci…
ci insegnava a…
difenderci e…
sopravvivere…


Nel nostro gruppo eravamo 17…4 maschietti e 13 femminucce…
…perdevamo sempre…ma, la “ scelta ”… era vasta…
In questa fabbrica di ceramiche, ho lavorato alcuni mesi…
Nonostante tutto riuscivamo a sentirci quasi felici, comunque allegri.
(* quel fagianotto a destra con canottiera…son mi…)

Se
confronto
la vita che
abbiamo
vissuto noi
con quella di
molti
giovani
d’ oggi…
ritornerei indietro
mille volte.

 
Avevo sedici anni…
Qui si lavorava come muli…
Un lavoro faticoso
in un ambiente malsano


dove il fumo delle fornaci a legna invadeva tutta la fabbrica,
composta di veri e propri labirinti bui , saturi di umidità puzzolente.
Qui, gli uomini di quarant’ anni ci arrivavano con grossi problemi di salute, primi fra tutti…
dolori reumatici, artrosi e per i più fortunati…asma bronchiale cronica.
Ho visto “ morire ” lentamente un uomo di nome Alfredo,
un uomo bellissimo, con capelli e baffi brizzolati,
colto da questa terribile malattia.
In quei labirinti bui e pieni di fumo, in particolare quando abbattevano
la “ porta” murata che dava direttamente dentro le grandi fornaci incandescenti ,
la temperatura saliva fino a diventare irrespirabile.
Il fumo era per noi come una maledizione.
Ti entrava nei polmoni e nella pelle…indumenti puzzolenti, bagnati…
perché sempre in mezzo all’acqua inevitabile per contatto continuo con la creta,
la quale non doveva seccarsi per essere usata in condizioni ottimali…
ed era assolutamente proibito aprire le finestre,
i cui vetri incrostati dal fumo e dal tempo,
non ti lasciavano vedere neanche un raggio di sole.
Era come lavorare dentro una miniera.
Il lavoro cominciava il lunedì, ma la settimana non finiva mai…
Si lavorava anche il sabato, sempre e…per guadagnare qualcosa in più…
si lavorava a volte anche la domenica…e non sempre era possibile farlo.
Tutto dipendeva dalle necessità del “padrone” di cui non voglio neanche dire il nome.
Più che un padrone era un vero tiranno.
In un ambiente così “allegro” si poteva, se ne avevi voglia, anche cantare ma,
era assolutamente proibito mangiare… neanche un grammo di pane.
Lavoravamo tutti mediamente nove, dieci, dodici ore al giorno.
Il “ mio ” Maestro, Giulio, aveva problemi di salute in famiglia…
e spesso restava a lavorare fino a notte. ( 14, 15, 16 ore al giorno).
Pur sapendo che, prima o poi ci saremmo tutti ammalati,
comunque tutti invecchiati precocemente,
regnava all’ interno della fabbrica anche una grande fratellanza.


 

                 
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"Aggiornato il 5 maggio 2005...." - Tutti i diritti riservati